ANATOMIA DELLA VIOLENZA

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Rubrica: APPROFONDIMENTI e/o CURIOSITA'

Ciao raga, in questo momento così delicato e particolare, una cosa positiva è che abbiamo finalmente più tempo da dedicare alle nostre passioni, e condividere delle curiosità con voi per noi lo era. 
Quindi eccoci di nuovo qui, sperando con più frequenza, per terminare la nostra settimana sulla violenza, portandovi agli albori dei comportamenti violenti.
Vi avevamo già parlato nell’articolo precedente di come possa cambiare la personalità a seguito di traumi o lesioni a livello cerebrale, ed è solo attraverso la messa a punto di nuovi strumenti e metodologie che si è potuto studiare in modo più accurato la struttura anatomica e funzionale del cervello, regolatrice di diverse attività cognitive sottostanti. Parliamo di strumenti che permettono di esplorare il cervello in vivo, come la PET (tomografia ad emissione di positroni), l’MRI (imaging a risonanza magnetica) o la fMRI  (risonanza magnetica funzionale). 
Diversi studi attraverso un confronto tra individui sani, ovvero privi di problematiche del comportamento sociale e criminali, hanno dimostrato due differenze fondamentali tra questi ultimi: la prima riguarda la struttura neuronale, nello specifico la differenza di densità dei neuroni, la seconda riguarda le funzioni emotive che sono correlate alla corteccia prefrontale e all’amigdala, ossia quelle aree del cervello che si occupano del controllo del comportamento, del rispetto delle norme sociali e delle emozioni nello specifico per l’amigdala della paura. 
A partire da questi studi ci si chiede se l’agire criminale possa essere una conseguenza di anomalie morfologiche e/o funzionalità cerebrali.
Lo psicologo e criminologo Adrian Raine afferma che un comportamento violento è più probabile che venga commesso quando queste due aree del cervello (corteccia frontale e amigdala) non funzionano al meglio, o per meglio dire, sembra che i criminali abbiano una corteccia prefrontale meno attiva e che l'amigdala, se più piccola del 18% rispetto alla media, causano una parziale privazione della capacità empatica ed emozionale tali da renderli meno responsabili e più vulnerabili a compiere atti violenti.
Sono stati diversi gli studi condotti sull’origine di un comportamento violento,  a partire da ipotesi genetiche, socio-culturali e ambientali. 
Marco Marchetti, psichiatra, criminologo e docente all’università del Molise, sostiene che «Tutti nasciamo con un tasso di aggressività che poi perdiamo», la sua potrebbe essere definita una prospettiva evolutiva, che mette in luce come la storia dell’individuo sia attraversata da momenti che modulano e condizionano la costruzione della propria personalità. Attraverso l’educazione e l’ambiente in cui questa personalità può esprimersi, si incanalano le pulsioni in comportamenti socialmente accettabili. 
Sono diverse dunque le dinamiche che possono modificare l’evolversi della “personalità”, delle caratteristiche di un individuo, soprattutto durante l’infanzia; quando si è in età evolutiva ciascuna di queste influenze può diventare fattore di rischio o causa di un trauma che può provocare anomalie cerebrali.

Vi invitiamo a dirci cosa ne pensate e se volete darci altre idee da portare sul nostro profilo scrivetecelo nei commenti!
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Alla prossima,Sempre con voi ad un metro di distanza. 

Cheeers ;)

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